Il coefficiente di Nakamoto: ironia della sorte Bitcoin è all’ultimo posto

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Disclaimer: le criptovalute sono una classe di asset ad alto rischio. Questo articolo è fornito a scopo informativo e non costituisce un consiglio di investimento. Potresti perdere tutto il tuo capitale.

Il tema della decentralizzazione delle blockchain è da sempre al centro degli studi di sviluppatori e analisti, e riveste un tono centrale in qualsiasi discussione che riguardi il Web3. Del resto è uno dei tre pilastri del “trilemma della blockchain”, insieme a scalabilità e sicurezza.

Il trilemma della blockchain, teorizzato da Vitalik Buterin, fondatore di Ethereum, rivela il difficile equilibrio tra decentralizzazione, sicurezza e scalabilità.

Ogni blockchain, a suo avviso, deve fare una scelta: la decentralizzazione riduce l’efficienza, la sicurezza richiede risorse, e la velocità (o scalabilità), spesso implica una maggiore centralizzazione. In sintesi, nessuna blockchain può massimizzare questi fattori contemporaneamente.

Come si misura la decentralizzazione di una blockchain?

Il livello di decentralizzazione di una blockchain viene spesso misurato tramite il numero dei validatori, un elemento utile, ma non decisivo. Non tutti i validatori hanno lo stesso peso: alcuni controllano stake o risorse maggiori, altri operano aggregati sotto lo stesso provider.

Possono esserci anche 100 validatori, ma se le risorse sono controllate solo da 10, è facile intuire che non si tratta di un sistema decentralizzato.

Ed è qui che entra in gioco il Nakamoto Coefficient, un termometro più chiaro di quanto una rete resti fedele al principio della decentralizzazione.

Che cos’è il Nakamoto Coefficient?

Il Nakamoto Coefficient misura quante entità indipendenti servono per compromettere una rete blockchain. Più alto è il coefficiente, più è difficile che qualcuno prenda il controllo. Non è importante solo quanti validatori ci sono, ma quanto potere concentrano.

Secondo l’ultimo report Chainspect 2025, la decentralizzazione è ormai merce rara.

Classifica 2025 delle blockchain più decentralizzate secondo il Nakamoto Coefficient – Fonte: Chainspect – Most Decentralized Blockchains by Nakamoto Coefficient (aggiornamento 2025).

In cima alla classifica delle blockchain più decentralizzate spiccano Polkadot, Kusama e Moonbeam, con un coefficiente record di 157, seguite da Crust Network (83) e TON (27). Più indietro Avalanche (25) e Cardano (20), che rimangono tra le blockchain proof of stake più equilibrate.

Solana si ferma a 18, in lieve ripresa dopo anni di concentrazione, mentre in fondo alla lista troviamo BNB, Tron, Polygon e Cronos, ferme tra 4 e 5. In altre parole, bastano quattro o cinque entità per coordinare un attacco contro alcune delle blockchain più popolari al mondo.

Il paradosso: Bitcoin ed Ethereum in fondo alla classifica

E qui arriva la parte più sorprendente. Anche se non è incluso in questa infografica, Il coefficiente Nakamoto di Bitcoin è 3, mentre quello di Ethereum è 5.

Per Bitcoin ci sono i dati di ForkLog, che indicano chiaramente come BTC possa essere controllato tramite soli tre gruppi di mining: Foundry USA con il 30,6% dell’hashrate, AntPool con il 17,1% e ViaBTC con il 15,4%. Sommati insieme hanno il 63,1%, ben oltre il 51% necessario.

Grafico distribuzione hashrate Bitcoin 2025 tra principali mining pool.
Distribuzione dell’hashrate di Bitcoin tra i principali mining pool al 1° maggio 2025: Foundry USA, AntPool e ViaBTC controllano oltre il 60% della potenza totale di calcolo. Fonte: Hashrate Index (maggio 2025).

Discorso simile per Ethereum, dove a controllare la blockchain sono soprattutto le società che effettuano lo staking collettivo.

Distribuzione dello staking di Ethereum aggiornata a maggio 2025: i cinque principali operatori, Lido, Coinbase, Binance, ether.fi e Kiln, controllano complessivamente oltre il 51% dello stake totale della rete. Fonte: Dune Analytics – Dashboard ETH Stakers di @hildobby (aggiornamento maggio 2025).

Insomma, basterebbero tre mining pool di Bitcoin o cinque operatori di staking di Ethereum per alterare la produzione dei blocchi. E non si tratta di un’esagerazione, ma di una fotografia dell’attuale situazione.

Nel caso di Bitcoin, il potere è concentrato nei grandi mining pool (Foundry USA, AntPool, ViaBTC).

Nel caso di Ethereum, nei principali staking provider (Lido, Coinbase, Binance).

In altre parole, la decentralizzazione di questi due giganti non sempre coincide con la distribuzione reale del potere operativo.

Decentralizzazione: ideologia o metrica?

Il coefficiente Nakamoto ricorda che la decentralizzazione non è uno slogan o un valore etico, ma una metrica quantificabile. Un dato che rivela quanto una blockchain sia “resistente” al controllo. E se Bitcoin ed Ethereum continuano a rappresentare i pilastri del mondo crypto, oggi sono altri ecosistemi a incarnare lo spirito originario di Satoshi Nakamoto.

Un coefficiente basso non significa però che una blockchain sia “insicura”. Nel caso di Bitcoin o Ethereum, la concentrazione del potere in pochi operatori non implica un rischio reale di collusione.

Questo perché i soggetti che dovrebbero “mettersi d’accordo” per manipolare la rete avrebbero tutto da perdere: gli incentivi economici, la reputazione e gli enormi capitali investiti nel mantenere l’infrastruttura verrebbero annientati da qualsiasi tentativo di sabotaggio.

In altre parole, il costo di un attacco supererebbe il potenziale guadagno. E questo è ciò che, di fatto, tiene in piedi la sicurezza dei grandi network: non solo la matematica del consenso, ma anche l’economia degli incentivi.

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