Un Hard Fork e il ritorno di Satoshi Nakamoto per salvare Bitcoin dai Computer Quantici

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Disclaimer: le criptovalute sono una classe di asset ad alto rischio. Questo articolo è fornito a scopo informativo e non costituisce un consiglio di investimento. Potresti perdere tutto il tuo capitale.

Il mondo delle criptovalute è da sempre terreno fertile per misteri e leggende. L’emblema di questa aura enigmatica è Bitcoin, nato dalla mente di un creatore che conosciamo solo attraverso uno pseudonimo: Satoshi Nakamoto.

Dopo essere sparito dalla scena nel 2011, la sua identità è rimasta avvolta nel mistero, alimentando ipotesi, speculazioni e documentari. Negli anni non sono nemmeno mancati tentativi di autoproclamazioni, o inchieste volte a svelarne il volto, ma tutte le piste si sono rivelate dei vicoli ciechi.

Eppure, secondo Joseph Chalom, co-CEO di SharpLink Gaming, l’unico scenario che potrebbe riportare Satoshi Nakamoto sulla scena crypto, sarebbe l’emergere di una minaccia esiziale come il quantum computing, capace di minare la sicurezza e la stabilità di Bitcoin.

La minaccia quantistica: il vero banco di prova di Bitcoin

Il calcolo quantistico non è più fantascienza. Secondo diversi ricercatori, nel prossimo decennio i computer potrebbero diventare abbastanza potenti per superare gli algoritmi crittografici che proteggono Bitcoin.

Struttura interna di un computer quantistico: il cryostat raffredda i qubit a temperature vicine allo zero assoluto per consentire il calcolo quantistico. – Fonte: IBM.

Se questo accadesse, le firme digitali non sarebbero più sicure e i fondi dormienti, come ad esempio gli 1,1 milioni di BTC custoditi nei wallet attribuiti a Satoshi (per un valore di oltre 120 miliardi di dollari, ndr) diventerebbero vulnerabili.

A questo punto la community crypto si troverebbe di fronte a un grosso problema; il rischio che miliardi di BTC vengano riversati sul mercato con conseguenze imprevedibili.

Per scongiurare questa minaccia sarebbe necessario un Hard Fork, ovvero un cambiamento strutturale del protocollo di Bitcoin per renderlo a prova di calcolo quantico. Una procedura che però è piuttosto complessa.

Il punto debole di Bitcoin

Il punto debole di Bitcoin in ottica quantistica si chiama ECDSA: l’algoritmo che garantisce le firme digitali. Un computer quantistico abbastanza potente, ma siamo nel campo della teoria, sarebbe in grado di risalire dalla chiave pubblica a quella privata.

Per questo si parla di un hard fork anti-quantum. Significherebbe modificare radicalmente il protocollo per adottare un nuovo sistema di firme crittografiche, già oggi allo studio, e più resistenti agli attacchi quantistici, come ad esempio SPHINCS+, che però comporterebbe firme più grandi (decine di kilobyte, contro i 64 byte di ECDSA) o schemi a base di reticolati lattici, difficili da decodificare anche dai computer quantistici. In questo caso non ci sarebbero controindicazioni ma la tecnologia è ancora in fase embrionale.

Schema semplificato della struttura ad albero di Merkle in SPHINCS+, algoritmo di firma digitale stateless basato su funzioni hash e resistente agli attacchi quantistici. – Fonte Telsy.

Il processo, però, non sarebbe indolore. Ogni utente dovrebbe spostare i propri BTC in indirizzi compatibili con le nuove regole.

E qui nasce un altro dilemma: cosa fare dei milioni di BTC fermi da anni nei wallet dormienti, inclusi quelli attribuiti a Satoshi Nakamoto? Congelarli o lasciarli liberi rischiando che un supercomputer li svuoti?

Un hard fork non è quindi solo un tema tecnico, ma una scelta politica ed economica che potrebbe cambiare l’essenza stessa di Bitcoin.

Il ritorno di Satoshi Nakamoto: cosa farebbe?

Per il co-CEO di SharpLink, il creatore di Bitcoin non avrebbe nemmeno bisogno di rivelare la sua identità. Basterebbe un segnale attraverso i suoi canali storici come un post su Bitcointalk, una mail proveniente da un indirizzo noto o l’attivazione di un wallet legato al Patoshi Pattern.

Il Patoshi pattern è un termine introdotto dal ricercatore Sergio Demian Lerner nel 2013 per descrivere un’anomalia nei primi blocchi della blockchain di Bitcoin. Analizzando i dati, Lerner notò che tra il blocco 1 e circa il blocco 20.000 emergeva un modello costante, come se una sola persona avesse minato gran parte di quei blocchi.

Schema concettuale di blockchain: i blocchi di dati sono collegati tra loro in modo sequenziale e sicuro tramite crittografia.

Il “Patoshi miner” utilizzava un software di mining diverso da quello pubblico, capace di lasciare tracce distintive nei nonce e nei tempi di creazione dei blocchi. In totale, si stima che abbia accumulato circa 1,1 milioni di BTC nel solo primo anno di vita della rete, senza mai spenderli, salvo rarissime eccezioni.

Un mito che pesa ancora sul futuro di Bitcoin

In realtà la maggior parte degli analisti considera poco realistico che Satoshi riattivi i suoi fondi. Ma la teoria di Chalom porta alla luce una verità scomoda: il silenzio del fondatore di Bitcoin non equivale alla sua assenza.

Negli anni non sono mancate le teorie su chi sia davvero Nakamoto, da Hal Finney a Nick Szabo, fino a suggestioni più pop come Elon Musk. Persino HBO, in un documentario del 2024, avanzò ipotesi rapidamente smentite dalla community.

Oggi, a 17 anni dal lancio, Bitcoin continua a funzionare senza un leader. Forse Satoshi non tornerà mai più, o forse sta solo aspettando il momento giusto. In entrambi i casi, il suo mito continua a influenzare il presente e il futuro della criptovaluta più famosa al mondo.

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