I layer-2 sono la salvezza di Ethereum ma anche una palla al piede

C’era una volta Ethereum, la rete nata sulla scia di Bitcoin ma che ha saputo ritagliarsi un proprio spazio grazie agli smart contract, dando vita a una blockchain più dinamica e strutturata.
Questa sua complessità ha però causato diversi problemi di velocità, un fardello con cui Ethereum e gli utenti hanno dovuto convivere, almeno fino all’avvento dei layer-2.
I layer-2 sono diventati il motore principale della scalabilità (velocità, ndr.) di Ethereum: piccole reti sovrapposte che elaborano le transazioni fuori dal layer principale, per poi “riconciliare” tutto su Ethereum in forma compressa. In questo modo si ottengono costi più bassi e maggiore velocità, senza rinunciare alla sicurezza del protocollo.

Una struttura modulare che ha permesso all’ecosistema di crescere, introducendo però nuove complessità nell’esperienza dell’utente.
Questo ha generato un paradosso: Ethereum è più veloce e più economico, ma molto meno semplice. Interagire con l’ecosistema significa saltare continuamente tra diverse blockchain, capire quale layer2 supporta quale dApp, ricordarsi dove sono i fondi e sperare di non finire sulla chain sbagliata.
La soluzione ai mali di Ethereum: Interop Layer
Per evitare questo problema è in arrivo una delle innovazioni più importanti degli ultimi anni: l’Ethereum Interop Layer (EIL). L’idea è semplice ma geniale: far sembrare tutti i layer 2 come una sola chain.
La complessità del multichain verrà resa semplice per l’utente grazie ai nuovi smart wallet basati su account abstraction (ERC-4337).

Senza entrare troppo nel tecnico, questi wallet saranno in grado di eseguire anche le operazioni più complesse in maniera autonoma, occupandosi di tutte quelle operazioni complicate che prima erano necessarie.
A che punto siamo davvero?
L’Interop Layer esiste già in forma embrionale e la fase di test è aperta, ma siamo ancora lontani da un’adozione di massa. È un percorso che richiede tempo, collaborazione e soprattutto volontà politica da parte dell’ecosistema.
La sfida dell’Interop Layer non è soltanto tecnica: è anche politica ed economica.
Oggi molte L2 competono non solo sulle prestazioni ma sull’esperienza utente. Ogni rollup cerca di distinguersi con il proprio wallet ufficiale, il proprio bridge, e un’interfaccia che cerchi di trattenere l’utente all’interno dell’ecosistema. In altre parole, la frammentazione non è solo un effetto collaterale, è anche una strategia.
Con l’arrivo dell’Interop Layer, questa dinamica cambia radicalmente. Se la logica multichain diventa “invisibile” e il wallet si occupa di orchestrare passaggi tra i layer-2, le chain perdono una parte della loro capacità di differenziarsi sull’UX.
Non è più l’utente a scegliere dove andare: è il wallet che seleziona la destinazione migliore in base alle condizioni di rete. Questo potrebbe ridurre il valore delle strategie che molte chain layer-2 hanno costruito negli anni.
Lo stesso discorso vale per chi oggi domina il mercato dei bridge e dei router cross-chain. Questi servizi prosperano proprio perché il multichain è complesso: ogni volta che un utente deve spostare asset, c’è un’opportunità economica per chi fornisce l’infrastruttura.
Se però la logica cross-chain venisse integrata nel wallet in modo standardizzato, i bridge esterni rischierebbero di diventare meno visibili, meno centrali e, in alcuni casi, non necessari. Non spariranno, ma dovranno adattarsi a un mondo in cui il loro lavoro non passa più da interfacce proprietarie, ma da protocolli unificati.
In sostanza, l’Interop Layer non impatta solo la tecnologia: tocca i modelli di business che si sono costruiti attorno alla frammentazione. Per questo la sua adozione richiederà del tempo.
Non tutte le chain layer-2 hanno interesse a farsi inglobare in un’esperienza unificata, e non tutti gli operatori sono pronti a vedere ridotto il proprio ruolo.
La scalabilità è un tema tecnico; l’unificazione dell’ecosistema è un tema di incentivi. E spesso, è proprio questo il nodo più difficile da sciogliere.
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