Tassazione criptovalute: pubblicati gli emendamenti per ridurla al 26%
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Nel pieno dell’esame della legge di bilancio, il tema della fiscalità sulle cripto-attività torna al centro del dibattito politico. E questa volta lo fa in modo trasversale.
Secondo un comunicato stampa diffuso da Checksig, la società italiana specializzata nella custodia e nella gestione di Bitcoin e cripto-attività, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e Movimento 5 Stelle hanno depositato una serie di emendamenti che puntano a cancellare l’aumento dell’aliquota sulle plusvalenze crypto dal 26% al 33% nel 2026, come previsto dalla normativa attualmente in vigore.
Un incremento che negli ultimi mesi aveva scatenato contestazioni da parte di investitori, imprese del settore e associazioni della società civile.
Perché bisogna tornare al 26%
La questione è semplice e, allo stesso tempo, paradossale: con l’aliquota al 33%, l’investitore che compra Bitcoin sul mercato paga più tasse rispetto a chi lo detiene tramite ETF, tassati al 26% come qualsiasi altro strumento finanziario.
Uno squilibrio che, nel linguaggio del legislatore, si traduce in una parola: iniquità. E che ha portato a un’inedita convergenza tra maggioranza e opposizione sul tema della tassazione delle criptovalute.
È qui che entra in scena l’emendamento principale, firmato da Pellegrino-Gelmetti (Fratelli d’Italia) e Paroli-Lotito (Forza Italia), accompagnato da una proposta speculare firmata dalle senatrici Pirro-Damante del Movimento 5 Stelle.
Il pacchetto completo: non solo aliquote
La proposta va oltre il semplice taglio dell’aliquota e introduce tre correttivi che il settore invoca da anni:
- Rivalutazione annuale delle cripto-attività con imposta sostitutiva al 18%, resa disponibile in modo permanente e non più circoscritta al solo 2025.
- Compensazione tra plusvalenze e minusvalenze di strumenti finanziari tradizionali e crypto, superando una separazione che non aveva alcuna logica economica.
- Inclusione dei costi transazionali nel prezzo di carico, in linea con quanto già avviene per titoli e valori mobiliari.
Tre interventi che non creano privilegi fiscali, ma allineano il trattamento delle crypto a quello del resto del risparmio italiano, in piena coerenza con l’articolo 47 della Costituzione.
La posizione della Lega
Gli emendamenti della Lega si muovono nella stessa direzione ma con un approccio più prudente: chiedono di rinviare l’entrata in vigore dell’aliquota al 33%, senza eliminarla del tutto.
Una soluzione tampone che non corregge il problema strutturale e lascia aperta la questione dell’equità fiscale per quanto riguarda la tassazione delle criptovalute.
La voce dell’industria: “Serve coerenza, non distorsioni”
A sintetizzare lo spirito del settore è Ferdinando Ametrano, docente e CEO di CheckSig, che da mesi denuncia l’incoerenza dell’attuale impianto normativo.
«L’ampio consenso parlamentare dimostra quanto sia essenziale garantire equità nella disciplina fiscale delle cripto-attività, evitando distorsioni che penalizzano ingiustificatamente una forma di risparmio rispetto ad altre», ha dichiarato Ametrano. «Con questa convergenza auspichiamo che l’emendamento principale venga inserito tra quelli segnalati e approvato in Commissione».
Il quadro che emerge è chiaro: dopo anni di incertezza, il Parlamento sembra finalmente pronto a rimettere mano a una fiscalità crypto che, così com’è, rischia di frenare un intero settore.
Resta da vedere se la politica avrà il coraggio di trasformare questa convergenza politica in una riforma strutturale e non nella solita correzione temporanea.
Perché, nel 2025, tassare Bitcoin al 33% mentre gli ETF vengono tassati al 26% non è un dettaglio tecnico. È un segnale politico.
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