Bitcoin è come il Monopoly: la previsione della “Cassandra” delle crypto
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L’investitore Michael Green, che nel tempo si è guadagnato il poco lusinghiero titolo di Cassandra del Passive Investing, continua a criticare Bitcoin, sostenendo che la sua struttura lo rende economicamente fragile e socialmente corrosivo. A suo avviso l’esito finale è che The Winner takes it all, ovvero ci sarà un solo vincitore, come in una partita a Monopoly.
Le sue argute osservazioni sono il frutto di un’intervista con il giornalista Phil Rosen, dove Michael Green non ha lesinato consigli e punti di vista discutibili.
Secondo Green, Bitcoin è stato promosso come un asset con diverse caratteristiche interessanti nel tentativo di attrarre il maggior numero di investitori, ma avrebbe fallito nel suo intento originario, quello di essere un sistema di pagamento peer-to-peer, e un’alternativa ai circuiti bancari tradizionali.
Per Green il fallimento è lampante: sulla rete Bitcoin non circola economia reale, ma solo trading. La maggior parte dei movimenti è traffico speculativo tra exchange, mentre i pagamenti veri, quelli tra persone o nei negozi, sono pochissimi. In pratica Bitcoin viene usato come asset di trading, non come moneta da spendere.
Ma si spinge addirittura oltre. Secondo Green l’economia moderna si regge su due forme di creazione di moneta: quella dei governi, usata nei momenti di crisi, e quella quotidiana delle banche, che nasce ogni volta che viene concesso un prestito.
Bitcoin elimina questa dinamica: è un sistema rigido, senza credito e senza espansione monetaria. Per Green, il network non fa altro che remunerare i miner per il loro lavoro di ‘contabilità’, quasi fossero una gigantesca Deloitte digitale. Un modello che, a suo giudizio, non può sostenere un’economia reale.
Perché Bitcoin sarebbe un “gioco del Monopoly”
Green spiega di essere stato tra i primi utenti di Bitcoin e di averlo inizialmente considerato una forma interessante di moneta privata. Ma, a suo avviso, la dinamica interna del sistema porta a un risultato inevitabile: con un’offerta fissa, Bitcoin finisce per funzionare come una partita di Monopoly.
Chi entra per primo accumula la maggior parte delle proprietà, mentre chi arriva dopo trova tutto occupato e non ha alcuna possibilità di recuperare. Nel gioco, aggiungere nuovi giocatori a partita avviata significa condannarli alla sconfitta immediata.
Per Green, la stessa logica si applica a Bitcoin, che mostra una concentrazione di ricchezza più elevata rispetto a qualsiasi economia reale. Il risultato è un sistema che non apre l’accesso ma lo chiude: invece di democratizzare la finanza, la rende ancora più iniqua.
Green paragona questa dinamica a quella dei servi della gleba del XIV secolo, costretti a vivere su terre che non avrebbero mai potuto possedere perché già distribuite tra i signori locali. Il risultato, sostiene, è un modello che non allarga le opportunità ma cristallizza la disuguaglianza.
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